martedì 31 maggio 2011

Cagliari: Sella del Diavolo e promontorio di S.Elia 29 05 2011

Sella del Diavolo e promontorio di S.Elia

La leggenda racconta che un giorno i diavoli, attratti dal fascino e dalla bellezza del golfo di Cagliari se ne impadronirono, Dio mandò allora i suoi angeli prediletti guidati dall'arcangelo Michele per scacciare Lucifero e i suoi adepti, ma nella fuga quest'ultimo perse la sua sella che cadde e si pietrificò, il promontorio fu quindi chiamato SELLA DEL DIAVOLO e il golfo tanto ambito GOLFO DEGLI ANGELI. La zona, di circa tre chilometri quadrati, racchiude un affascinante connubio di verde, roccia e mare, un piccolo paradiso racchiuso tra Calamosca e la sella del diavolo.
Nel punto più elevato del promontorio (m 135 slm) esisteva un TEMPIO PUNICO DEDICATO ALLA DEA ASTARTE, di cui ora non rimane più traccia. Nei dintorni è visibile invece una cisterna romana, dalla classica forma a sezione tronco-conica con un diametro di circa 5 mt, l'imboccatura è protetta da una grata metallica e a fianco ad essa è visibile il sistema di vasche e canalette costruito sulla roccia in maniera da far confluire l'acqua piovana. Poche decine di metri più a valle della cisterna romana, in direzione ovest, è presente un altra cisterna, punica, di 27 metri di lunghezza e 6 di altezza.
Nei dintorni è visibile la torre di S.Elia, la torre del Poetto (raggiungibile tramite una ripida discesa fra le roccie), il fortino della seconda guerra mondiale e i resti del monastero di S. Elia abitato dai monaci vittorini nell'XI secolo. Pare che già dal periodo pisano fosse presente nei dintorni una torre chiamata "della lanterna" e successivamente denominata TORRE DEL POUHET, ovvero DEL POZZETTO, da cui prese poi il nome l'intera zona e il POETTO stesso.
Tratto da: il portale sardo

martedì 10 maggio 2011

Bronzetti Sardi - Monumenti Aperti Cagliari 2011


Il bronzetto sardo è una scultura bronzea tipica dell'antica civiltà nuragica diffusa in Sardegna durante l'Età del bronzo. Gli archeologi non sono riusciti ancora a datare le figurine con precisione anche se si presume siano state realizzate nel periodo che va dal IX secolo a.C. al VI secolo a.C. Ogni statuetta rappresenta un pezzo unico e sono di inestimabile valore. Ne sono stati ritrovati nel tempo più di 400, principalmente nei luoghi di culto come i Pozzi sacri. Molte statuette nuragiche sono state ritrovate in scavi effettuati nell'Italia centrale e precisamente nelle tombe etrusche del VIII e del VI secolo a.C., confermando le ipotesi sugli stretti rapporti allora esistenti tra i Sardi antichi ed Etruschi.



Galleria Bronzetti: 1 -  2 - 3 - 4 - 5 -
FantaStoriaBronzea: 1


lunedì 9 maggio 2011

Orto dei Capuccini Monumenti Aperti Cagliari 2011

Nell’orto dei Cappuccini, ora di proprietà comunale, si aprono varie monumentali cisterne scavate nella roccia calcarea, per lungo tempo attribuite a periodo punico. Si tratta, invece, di antiche latomie, cave di blocchi aperte forse nel II secolo d.C., per la costruzione del vicino Anfiteatro Romano. Esse furono adibite a cisterne solo in un secondo tempo, una volta impermeabilizzate con il cocciopesto (un intonaco di calce mista a cocci triturati). La più ampia poteva contenere fino a un milione di litri d’acqua piovana, proveniente dall’Anfiteatro attraverso un lungo cunicolo sotterraneo tuttora percorribile. Varie prospezioni hanno consentito di appurare che la cavità subì già in antico un ulteriore riadattamento a carcere, come testimoniano le numerose anelle osservabili lungo le pareti, destinate al fissaggio delle catene. In corrispondenza di una di queste è stato scoperto un importante graffito paleocristiano, risalente agli inizi del IV secolo d.C. Si tratta di un’immagine simbolica della Navicula Petri, la Nave della Chiesa, con l’albero della vela costituito da una croce monogrammatica e sul ponte i dodici Apostoli, “pescatori di uomini”, schematicamente rappresentati nel salpare la rete. L’autore va probabilmente individuato in uno sconosciuto martire cristiano, detenuto prima di essere ucciso nei giochi dell’anfiteatro!



Anfiteatro Romano di Cagliari Monumenti Aperti 8-9 maggio 2011

Secondo un calcolo recentemente eseguito, l’edificio poteva contenere oltre 10.000 spettatori, a fronte di una popolazione della Carales romana stimata in circa 35.000 persone.
L’insieme delle gradinate, di profilo ellittico, prendeva il nome di cavea, suddivisa tra gli spettatori secondo un criterio rigidamente classista: il ripiano del podium, direttamente affacciato sull’arena, era riservato ai cittadini più illustri (i senatores), che potevano sistemarvi le loro poltrone (subsellia); sui gradini di ima, media e summa cavea, sedevano, nell’ordine, le diverse classi di uomini liberi (equites, plebei) e le donne, rispettivamente separate da un netto dislivello di muraglie chiamate praecinctione. Sotto le gradinate vari corridoi (ambulacra) giravano tutt’attorno alla cavea, immettendosi tramite specifiche entrate (vomitoria) negli itinera, cioè i corridoi scoperti posti alla base di ciascun moenianum.
Nel 1600 il monumento era denominato anche con il nome sardo di Centu Scalas (cento scale). All’epoca l’arena risultava completamente interrata, e così i corridoi dei livelli inferiori, la cui misteriosa inaccessibilità dovette favorire la diffusione delle più strane leggende. Tra il 1845 e il 1865, si produssero e misero in commercio una fitta serie di falsi documenti antichi dai quali non solo si venne informati sui vari spettacoli che un tempo sarebbero stati allestiti nell’Anfiteatro, ma addirittura sui particolari di una tenera storia d’amore del III secolo d.C., nata sulle sue gradinate tra il bosano Marcobus e una giovane di nome Corilla (personaggi mai esistiti).



La Grotta della Vipera - Cagliari Monumenti Aperti 8-9 maggio 2011

La Grotta della Vipera

La Grotta della Vipera è un monumento funebre di epoca romana, risalente al periodo compreso tra la fine del I° ed il II° secolo dopo Cristo, scavato interamente nella roccia ai piedi del colle di "Tuvixeddu".
Esso è la testimonianza più importante della necropoli occidentale della Karales romana. Per i romani la morte aveva un significato particolarmente nefasto. Per questo motivo i luoghi di sepoltura sorgevano lontano dal centro abitato, nelle vie d'accesso alla città.
Il sepolcro fu dedicato dal romano Lucio Cassio Filippo alla moglie Atilia Pomptilla. La leggenda narra che, ammalatosi gravemente L. C. Filippo, la donna pregò gli dei così ardentemente da riuscire ad ottenere la salvezza del marito, morendo al suo posto. Fu così eretto questo tempietto sepolcrale nel quale le spoglie di Pomptilla furono deposte; numerose e suggestive poesie ne ricordano la storia. Il nome “Grotta della Vipera”, già nota nel Seicento come Cripta serpentum, ha origine proprio dai fregi dell’architrave: due serpenti, simbolo della vita eterna e della fedeltà coniugale.
  
Ma la Grotta della Vipera, più che per la struttura, è importante per le iscrizioni con le quali sono arricchite le sue pareti: sono dodici poesie, alcune in greco ed altre in latino, che con riferimenti mitologici e letterari esaltano la figura di Pomptilla e il suo amore coniugale.

Ne riportiamo alcuni tra i più poetici, tradotti dal greco:

"Possano o Pomptilla queste tue ceneri
fecondate dalla rugiada
essere trasformate in gigli ed in
verdi fronde ove sbocci la rosa
e risaltino il profumato zafferano ed il
semprevivo amaranto.
Possa tu diventare ai nostri occhi
il fiore della primavera
affinché abbia come Narciso,
questo oggetto di lacrime eterno.
Ma se Pomptilla sacrificò se stessa
per l'amato sposo, Filippo, vivendo suo malgrado,
brama ardentemente di vedere presto riunita
la sua anima a quella
della più dolce delle spose".


Il nome "Grotta della Vipera", deriva dai due serpenti, scolpiti nell'architrave, che simboleggiano la fedeltà coniugale ed il trasporto amoroso anch'esso insito nel significato simbolico attribuito dagli antichi alla figura del serpente.

Il valore e la suggestione del luogo furono riconosciuti ampiamente già nel secolo scorso quando famosi studiosi sardi le dedicarono particolare attenzione, ma è Alberto La Marmora che dobbiamo ringraziare se noi, ancora oggi, la possiamo visitare: infatti, nel 1822 impedì che venissero fatte brillare le mine poste in prossimità della Grotta, durante i lavori per la realizzazione della strada Cagliari-Sassari.

















Il nome "Grotta della Vipera", deriva dai due serpenti, scolpiti nell'architrave, che simboleggiano la fedeltà coniugale ed il trasporto amoroso anch'esso insito nel significato simbolico attribuito dagli antichi alla figura del serpente, e non dalla presenza di serpenti, che infestavano il luogo, come sosteneva un dicerìa molto diffusa nei secoli passati.
All'interno della grotta si aprono due passaggi sotterranei sui quali la fantasia popolare ha intrecciato varie leggende. Una racconta che percorrendo uno dei due cunicoli si arriva ad un tesoro, mentre l'altro porterebbe a sicura morte il malcapitato che vi si avventura. In realtà i due cunicoli conducono entrambi ad un vicolo cieco, anche se molti anziani del quartiere continuano a sostenere che attraverso questi passaggi sotterranei si arriva in cima al colle di Tuvixeddu.
Al lato del mausoleo funebre di Atilia Pomptilla, ci sono alcuni colombari, scavati nella parete rocciosa, in cui erano collocate le urne contenenti le ceneri di diversi defunti. Questo colombario è noto col nome di Tomba di Berillio. La Grotta venne salvata da sicura distruzione da Alberto Lamarmora nel 1822, quando, durante la costruzione della strada Cagliari - Sassari (la Carlo Felice o 131), incorse seriamente nel pericolo di "saltare in aria" a causa delle mine fatte brillare nel corso dei lavori, che non risparmiarono (ahimé) molte altre tombe della necropoli occidentale della Carales romana. Tutta la collina, lungo il pendio che si affaccia sul viale Sant'Avendrace, era disseminata di tombe romane. Alcune di esse si conservano ancora, nascoste dalle costruzioni moderne ed in stato di profondo degrado, causato dal tempo e dall'incuria dell'uomo. Lo Spano nell'ottocento aveva potuto ammirare le opere "da cui si può argomentare la grandezza dell'antica Cagliari", e ci ha lasciato una testimonianza scritta di ciò che altrimento oggi non potremmo nemmeno immaginare. Egli, nella sua Guida della città e dintorni di Cagliari, descrive con dovizia di particolari diverse sepolture tra le quali la cosiddetta Tomba di Rubellio. La Tomba di Rubellio è un colombario, posto all'incirca all'altezza della chiesa di Sant'Avendrace, che Cassio Rubellio fece scavare nella roccia del colle in ricordo delle sue due mogli Marcia Eliade e Cassia Sulpicia Crassilla. La lapide scolpita sul frontone d'ingresso riportava queste parole:
C. Rubellius Clyteus Marciae L. F. Heliadi. Cassiae Sulpiciae C. F. Crassilae. Conjugibus carissimis Posterisque suis. Qui legis hunc titulum mortalem te esse memento 
(Tu che leggi questa iscrizione ricordati che sei mortale)
Il colombario era molto bello e vi si accedeva attraverso una scalinata scavata a semicerchio, già danneggiata ai tempi dello Spano. Attualmente, purtroppo, è difficilmente accessibile.

domenica 8 maggio 2011

Cavità di Via Vittorio Veneto - Cagliari Monumenti Aperti 8-9 maggio 2011

I racconti di Monumenti Aperti

Lo scrittore Giorgio Todde è stato coinvolto per la terza edizione de I racconti di Monumenti aperti.
Fra i tanti siti aperti, sono stati scelti vari monumenti cui dedicare altrettante storie originali da raccontare:  domenica 8 ore 18, nelle cavità di via Vittorio Veneto, Fabio Marceddu e Rita Atzeri in veste di narratori con Giorgio Todde, autore del racconto, fra cronaca e realtà ci raccontano la storia di una di quelle famiglie che fino alla metà del secolo scorso abitarono grotte, cavità e tombe del sottosuolo cagliaritano.
Diversamente dai festival letterari tradizionali, I racconti si caratterizza per la spinta produttiva originale alla quale sono chiamati gli scrittori, nel rispetto del progetto: non dunque una vetrina per produzioni letterarie già esistenti ma un’occasione per commissionare opere originali con la finalità di valorizzare, attraverso la letteratura ma anche la musica, il patrimonio artistico cittadino in un contesto di grande visibilità come è Cagliari Monumenti aperti.
Ogni monumento racconta una storia ufficiale, condivisa. Agli scrittori è chiesto di dare ai monumenti identità nuove, diverse, attraverso narrazioni originali che li contestualizzino in modalità inconsuete, trasformandoli in protagonisti anche involontari di storie soprattutto contemporanee. Ecco perché, accanto agli scrittori cagliaritani o quanto meno sardi, il progetto prevede anche il coinvolgimento di “sguardi stranieri”: scrittori che visitano Cagliari per la prima volta e che sono in grado di regalare visioni ancora più inaspettate. Ogni scrittore, oltre che scrivere, dovrà leggere il racconto nel monumento scelto in un incontro col pubblico che prevede, oltre alla lettura, l’esecuzione di una colonna sonora, anch’essa originale, ispirata alla storia raccontata.
I tre racconti sono infine pubblicati in un elegante libretto, disegnato da Manuel Putzolu e arricchito dalle illustrazioni di Tiziana Martucci, che negli anni andrà a costituire una collana di narrativa straordinaria. Nelle due precedenti edizioni, I racconti di Monumenti aperti ha coinvolto Marcello Fois, Gianluca Floris, Michela Murgia, Enrico Pau, Massimiliano Medda e Mario Gelardi.

Cavità di Via Vittorio Veneto - Cagliari

La cavità, sorta presumibilmente in epoca romana, fu utilizzata durante il II Conflitto Mondiale, come rifugio contro i bombardamenti. Terminata la guerra, la cavità diede asilo provvisorio agli sfollati che, al loro rientro a Cagliari, avevano trovato le loro case distrutte.
Cavità di Via Vittorio Veneto
La cavità si apre in via Vittorio Veneto, di fronte al numero civico 40. Essa fu realizzata per estrarre materiale da costruzione e presenta una forma irregolare con un perimetro di circa 150 metri ed uno sviluppo interno di circa 600 metri quadri. Durante la fase di scavo nella roccia furono risparmiati, all’interno della Cavità, cinque tozzi pilastri a base quadrata al fine di conferire solidità alla volta ed evitare crolli. Cessata l'attività di cava seguì probabilmente quella di utilizzo come serbatoio d'acqua. Tale utilizzo, a giudizio del canonico Giovanni Spano, sarebbe iniziato in epoca cartaginese e proseguito in epoca romana. Nel 1943, durante il II Conflitto Mondiale, la cavità fu riutilizzata come rifugio contro i bombardamenti e fu anche realizzato un rudimentale impianto elettrico all'interno. Terminata la guerra, la grotta diede per qualche tempo precario asilo a quegli sfollati che, al loro rientro a Cagliari, avevano trovato le loro case distrutte dai bombardamenti.






Nato a Cagliari nel 1951, si è laureato in medicina e ha conseguito la specializzazione in oculistica. La passione per la narrativa si è manifestata nel 2000, con la pubblicazione del romanzo Lo stato delle anime, con il quale ha vinto il Premio Berto di Capo Vaticano e il Regium Julii di Reggio Calabria. A questa prima esperienza letteraria sono seguite altre prove di eguale successo.

  • Lo stato delle anime, Nuoro-Milano, Il Maestrale-Frassinelli, 2001; 2002; 2005; 2006
  • Lo stato delle anime, Sassari, La Nuova Sardegna, 2003
  • La matta bestialità, Nuoro, Il Maestrale, 2002; 2003
  • La matta bestialità, Cagliari, L'Unione Sarda, 2003
  • Paura e carne, Nuoro-Milano, Il Maestrale-Frassinelli, 2003; 2005
  • Ei, Nuoro, Il Maestrale, 2004
  • L'occhiata letale, Nuoro-Milano, Il Maestrale-Frassinelli, 2004; 2006
  • L' etat des ames: une enquete d'Efisio Marini, traduit de l'italien par T. Laget, Paris, Gallimard, 2005
  • E quale amor non cambia, Nuoro-Milano, Il Maestrale-Frassinelli, 2005; 2007
  • Al caffè del silenzio, Nuoro, Il maestrale, 2007
  • L'estremo delle cose, Nuoro-Milano, Il Maestrale-Frassinelli, 2007; 2009
  • Dieci gocce, Milano, Frassinelli, 2009
  • Ero quel che sei, Nuoro, Il Maestrale, 2010


Giorgio Todde Il Noce - Scritti sull'isola rinnegata
A partire da un fatto, un paese, una condizione di volta in volta ritenuti emblematici di una purtroppo diffusa insensibilità per il rispetto dell’ambiente, Giorgio Todde ha scritto dal 2003 a oggi una serie di pungenti articoli per uno storico quotid...iano . Questo libro li raccoglie, rendendo la testimonianza di delitti commessi a danno del paesaggio, e quindi a danno di se stessi, a presente e futura memoria. L’azione degli amministratori, “padroni del territorio” e delle comunità che essi rappresentano. I centri storici devastati o snaturati. La confusione drammatica tra “chi amministra e chi fa impresa” che talvolta sono la stessa persona. Il caso clamoroso della necropoli punica di Tuvixeddu. La “debolezza culturale” della società isolana davanti al nuovo e al moderno che spinge un intero popolo a ripudiare il proprio paesaggio e dunque perfino se stesso. L’isola considerata allegoria dell’intera nazione che si divora da sé. Gli interventi di Todde disegnano anni critici durante i quali il paesaggio, peggiora con una velocità mai prima registrata. Descrive la vittoria della ferocia edificatoria sulla bellezza dei luoghi e va, per tutto questo, alla ricerca di un perché. (dal catalogo de 'Il Maestrale editore')  

La matta bestialità di Giorgio Todde

Che scoperta Giorgio Todde. Un oculista che guarda la realtà con occhi raffinati e affinati. Scrive da anni, ma pubblica pochi romanzi. Ogni opera è un appuntamento. Ogni storia è un affresco. Il primo romanzo, Lo stato delle anime, Il Maestrale 2001 e Il Maestrale/Frassinelli 2002, ha vinto numerosi premi ed è stato tradotto in Francia, Germania, Olanda. Paura e carne, Il Maestrale 2003, prosegue le vicende del personaggio Efisio Marini, imbalsamatore dello scorso millennio a cui l’autore restituisce vita, improvvisandolo investigatore.
La matta bestialità, edizioni Il Maestrale, 2003, invece, inaugura un nuovo filone narrativo.
Una Sardegna autentica e caliginosa. Sfuggente e maliziosa. Sulla scena disegnata si muovono uomini e donne impossibili. Eppure tangibili, paurosamente verosimili. Un meteorologo, Ugolino Stramini, che predice il tempo e il futuro. Una morte inspiegabile, che inaugura una serie di crimini talmente crudeli che la mente quasi le rifiuta. Come avrà fatto lo scrittore a renderle così bene, senza inorridirne? Una donna inquietante. Un poliziotto improbabile, terrorizzato dalla moglie, innamorato delle parole, l’unico con la vista non offuscata, l’unico senza sovrastrutture.
Todde ha una sottile capacità di stupire, di stracciare le convinzioni di chi legge. La potenza di chi, dal retro di una porta che non vedi, si affaccia, “cu cu!”. Un soprassalto, non può essere. E invece è. Offre il piacere di leggere un linguaggio severo, fortemente evocativo, ricercato, ma non altezzoso. Immaginiamo che parlino così i sardi, noi del Continente.
Giorgio Todde è anche presidente dell’Associazione culturale “L’Isola delle storie” che a fine giugno organizza il Festival letterario della Sardegna a Gavoi, in Barbagia. http://www.isoladellestorie.it/
Il cuore del libro.
La città si ipnotizzò a ferragosto. Restò catatonica per giorni. Il barometro indolenzito segnava stabile e pareva che anche la stratosfera, quella bassa e quella alta, fosse rassegnata a lasciare le stesse nuvole rade e cotonose ogni giorno allo stesso posto. Così tutto divenne ripetizione. Anche i giornali pubblicavano ogni giorno la stessa notizia del Canto ritrovato. Ma la canicola era sopportabile e non lesionava le teste.
Stagnare è comodo e la gente non stava tanto male. A Ugolino, ispirato, la città smidollata sembrava presa da un incantamento. C’è da dire, però, che l’incantamento, semmai, aveva preso lui ed Emilia e che il vitino da levriero di Ugolino aveva innamorato lei definitivamente e che lei era tanto commossa da emanare luce come una lanterna. Quella della città, invece, era proprio noia e non incantamento”.